C’è poco di italiano in questa edizione numero sessantanove del Festival di Cannes, al via oggi. E quello che c’è sembra il meglio che il Made in Italy possa offrire in fatto di temi.

C’è poco di italiano in questa edizione numero sessantanove del Festival di Cannes, al via oggi. E quello che c’è sembra il meglio che il Made in Italy possa offrire in fatto di temi.

Molto si conosce del rapporto dell’attrice Anna Magnani con la California. Un rapporto che è lungo e ben documentato, dal premio Oscar ricevuto per “La rosa tatuata” (prima attrice italiana a conquistare la statuetta) alla nomination l’anno successivo con “Selvaggio è il vento”, fino alla cerimonia per la stella sulla “Walk of Fame” di Hollywood. Si sa molto di meno del suo rapporto con la Grande Mela.

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Sono passati cinquant’anni. Esattamente mezzo secolo di Django. Era il 1966, infatti, quando usciva nelle sale d’Italia “Django”. Il capolavoro di Sergio Corbucci passò alla storia come una pietra miliare del western all’italiana poi ‘omaggiato’ da Quentin Tarantino con il (ormai non tanto) recente “Django Unchained“.

Uno dei più grandi registi italiani è, ancora una volta, in giro per il mondo per esportare la sua idea di settima arte. Negli ultimi anni, si pensi a film quali “La migliore offerta” e “La corrispondenza” sono numerose le collaborazioni che Giuseppe Tornatore ha concretizzato con attori stranieri.

Pochi giorni fa l’annuncio della tripletta di titoli italiani contemplati all’interno della sezione parallela del festival di Cannes, la Quinzaine des Réalisateurs.

Lui si chiama Pericle Scalzone, ma tutti lo chiamano “Il nero”. Il suo mestiere? A detta sua, di lavoro “fa il culo alla gente” per conto di Don Luigi, un boss camorrista emigrato in Belgio. Pericle, dunque, è una sorta di sicario. Un ‘tirapiedi’ dagli occhi di ghiaccio e il fisico piazzato.

“Zeta” è l’opera terza del prolifico regista di video musicali e pubblicità Cosimo Alemà, che nelle note di regia scrive di voler realizzare un film generazionale in grado di rappresentare i giovani Millennials, così come negli anni Ottanta aveva fatto “Il tempo delle mele”, con le dovute proporzioni, “L’odio”.

Un po’ a sorpresa si è aggiudicato un David di Donatello come miglior film dell’anno e un David come miglior sceneggiatura.

Una notte degli Oscar all’italiana. Probabilmente, anzi sicuramente, il paragone con Los Angeles non regge. Ma non si può negare che il cinema nostrano stiamo compiendo importanti passi in avanti. E, a conferma di ciò, i film premiati al David di Donatello sono promossi all’unanimità per la loro qualità.
