“C’eravamo tanto amati”, un poker d’assi da rimpiangere

di La Redazione

Difficile immaginare al giorno d’oggi un cast del calibro di Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores (ai quali si aggiunge Aldo Fabrizi) diretti da Ettore Scola. Nulla da togliere agli attori e ai registi di oggi.

Tuttavia, alcuni attori, alcuni film, alcuni registi, come si usa dire, ‘non li fanno più’.

Ecco perché, di conseguenza, classici intramontabili come “C’eravamo tanto amati” sono ancora ricordati con estremo affetto e considerati alla stregua del meglio che l’Italia del cinema abbia mai potuto offrire.

Scola ha messo dentro tutto in questo film. A partire dalle storie di tre amici che hanno fatto la Resistenza per guadagnarsi un futuro migliore. Tre amici che, finita la guerra, si sono separati.

Ora, uno fa il portantino all’ospedale San Camillo di Roma. Un altro fa il ‘mantenuto’ o quasi, e il terzo è un insegnante che rischia tutto e si getta nel vasto mondo della critica cinematografica.

Un giorno i tre, in compagnia della donna innamorata di uno di loro, si incontrano per caso commemorando i bei tempi andati. Rivivono il passato e riflettono sull’andamento attuale delle loro vite. Quando si accorgono di quelli che sono stati i cambiamenti non hanno un’espressione felice.

“C’eravamo tanto amati” è un film che funziona perché gode di un’ottima sceneggiatura, di attori spettacolari, di una regia ai limiti della perfezione.

Sa come descrivere i cambiamenti, come registrare quelli che hanno influenzato la società italiana. Parla di ideali, di tradimenti degli ideali, di uomini che hanno fatto i soldi e si fingono poveri per vergogna. Perché sanno di non meritarlo.

“C’eravamo tanto amati” è una commedia che lascia un sapore amaro.

 

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