Mi rifaccio vivo, tre comici per parlare di morte e redenzione

di La Redazione

Per chi apprezza il piglio pugliese di Sergio Rubini, Mi rifaccio vivo potrebbe anche essere una delusione. Qui, infatti, Rubini, nel doppio ruolo di regista e di interprete secondario, ha deciso di abbandonare la specificità territoriale della sua narrazione e di cercare altrove, in argomenti più universali e di maggior respiro.

Un atto di svolta forse nella carriera di Rubini, che da un lato mostra il coraggio di una scelta radicale e, dall’altro, evidenzia le pecche di una ancora non raggiunta maturità in tal senso.

 

Sono tanti i temi che Sergio Rubini ha già affrontato in altre pellicole e che in Mi rifaccio vivo vengono riproposti sotto un altro punto di vista. Come detto dallo stesso regista, in Mi rifaccio vivo l’intenzione è quella di deporre le armi, di pensare alla ripacificazione di un modo di vivere che porta sempre al conflitto, generazionale, sociale, interpersonale.

La storia di Mi rifaccio vivo è semplice e lineare – la sceneggiatura della pellicola è uno dei maggiori punti di questa commedia – due uomini sono antagonisti fin dai tempi della scuola.

Lo stereotipo c’è: da un lato il basso, cicciottello e sfigato che si suicida dopo l’ennesima umiliazione, l’altro, l’antagonista, alto e piacente e sempre vincente. Dopo il suicidio, all’uno, Biagio Bianchetti, interpretato da Lillo, viene data la possibilità di tornare sulla terra per poter dimostrare di essere un uomo migliore e lo potrà fare solo aiutando l’altro, Ottone Di Valerio, brillantemente interpretato da Neri Marcorè, incarnandosi in Dennis Ruffino, il manager che deve salvare l’azienda di Di Valerio.

Il resto poi viene da sé, come anticipato la sceneggiatura è piuttosto scarna, ma è proprio grazie a queste tre brillanti partecipazioni che Mi rifaccio vivo è una commedia a tutti gli effetti, che riesce a far ridere e far riflettere, per quanto questo possa essere scontato in un film. I tre attori sono usati da Rubini con sapienza, anche se forse Solfrizzi meritava uno spazio più ampio, e, anche se i personaggi a volte risultano goffamente eccessivi, sono ben calibrati e disegnati.

Lo stesso non si può dire di Margherita Buy – che sembrava aver abbandonato con Viaggio Sola il suo personaggio di donna nevrotica e isterica, ma che qui ci ricasca in pieno – e di Valentina Cervi, che si è accodata alla Buy nel ruolo di donna sull’orlo di una crisi di nervi.

Un plauso va, invece, a Vanessa Incontrada.

 

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