Alberto Sordi Story: “L’arte di arrangiarsi” 1955

di La Redazione

Ha 35 anni Alberto Sordi quando si trova ad interpretare il personaggio di Rosario Scimoni, detto Sasà, nella pellicola L’arte di Arrangiarsi, terzo e ultimo capitolo della trilogia ideata e sceneggiata da Vitaliano Brancati e diretta da Luigi Zampa i cui titoli precedenti sono Anni difficili (1948) e Anni facili (1953).

Forse è proprio in questo film che Alberto Sordi riceve l’incoronazione come interprete dell’uomo medio italiano, il rappresentante dei vizi e delle virtù dell’italica gente che lo ha accompagnato, nel bene e nel male, per tutta la sua carriera.

Abbandonata, solo per un po’, la romanità insita nel suo DNA di uomo e di artista, Alberto Sordi qui riesce a dare una caratterizzazione comica e leggera a quanto premeva esprimere allo sceneggiatore. Brancati mira a smascherare il lato peggiore dell’uomo medio italiano, quello trasformista, opportunista, quello che lo porta sempre a salire sul carro dei vincitori. Ininfluente la direzione da cui proviene e in cui va questo carro.

Rosario “Sasà” Scimone – e l’Alberto Sordi che lo interpreta magistralmente- è il prototipo dell’italiano medio, colui che nella vita sa arrangiarsi, che in questo caso vuol dire cercare di ottenere il massimo con il minimo sforzo, passando da uno schieramento politico all’altro, tradendo i suoi amici e i suoi parenti, sposandosi solo per interesse economico, il tutto solo ed esclusivamente per beneficio personale.

L’arte di arrangiarsi – Arringa elettorale

Una delle scene più significative del film in cui Rosario pronuncia la celebre frase:

Mi trovai in piena campagna elettorale, e in un attimo capii qual era la mia vera vocazione: altro che iscriversi ai partiti, dovevo fondarne uno! E ora potevo, perché ero stato in galera!

Puro caso o preveggenza artistica del duo Brancati-Zampa? Difficile da decidere. Fatto sta che L’arte di arrangiarsi è una pellicola -usando un termine inflazionato, ma purtroppo più che coerente- attuale e se lo è diventata è solo grazie all’interpretazione furba, esuberante e intelligente del giovane Alberto Sordi.

 

 

 

 

 

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