La banda degli onesti, quando eravamo poveri ma integri

di La Redazione

Uno dei classici della comicità all’italiana? Senza dubbio “La banda degli onesti“. Totò e Peppino sono in coppia ancora una volta, per onorare con il loro inestimabile talento la sceneggiatura scritta ‘ad hoc’ da Age e Scarpelli. Una sceneggiatura fatta di dialoghi pimpanti, di sequenze memorabili.

La storia è quella di Antonio Bonocore, portinaio di un palazzo che eredita da un condominio gli strumenti e il materiale per stampare banconote di grosso taglio. Per farlo ‘mette in mezzo’ un tipografo e un pittore di insegne. “La banda degli onesti”, dunque, oltre a riproporre la coppia perfetta aggiunge un terzo elemento.

Il film ci guadagna ed è un crescendo di emozioni, risate ed equivoci. Soprattutto nella seconda parte nella quale si evidenzia comicamente come ciò che accomuni il trio alla fine sia l’estrema ristrettezza in termini di finanze.

Pertanto quale miglior modo di uscire dai guai economici se non diventare una banda di falsari?

Intanto, il figlio di Antonio, che è una guardia di finanza, indaga.

I tre complici credono che gli altri stiano spacciando denaro falso.

Totò, nei panni di Antonio, crede che il figlio sia sulle sue tracce e fa di tutto per agevolargli la carriera.

Il finale, poi, è da antologia.

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