Seconda collaborazione tra Federico Fellini e Alberto Sordi che, contrariamente a quanto accaduto alla loro prima esperienza cinematografica insieme, si rivelò essere un grande successo, sia di critica che di pubblico.
Aveva avuto ragione Fellini a riconfermare quel Sordi che appariva, invece, così inviso in un primo momento. Il regista aveva notato il potenziale esplosivo dell’attore e dell’uomo e ne I Vitelloni il giovane Alberto Sordi si manifesta in tutta la sua potenza. Un personaggio che sembra cucito apposta per lui -ne porta anche il nome- quell’Alberto infantile e moralista che, pur con tutte le migliori intenzioni -come quella, ad esempio, di essere un padre per la sorella che però lo mantiene- non riesce ad affrancarsi dalla sua condizione di vitellone, rimanendo vigliaccamente ancorato alla figura della madre.
I Vitelloni – La pernacchia
Qui, ne I Vitelloni, il personaggio Alberto sembra contenere in sé tutto il potenziale del grande mattatore che Sordi diverrà con il tempo e con il lavoro che su di lui hanno fatto altri grandi del cinema italiano -De Sica e Monicelli solo per fare un paio di esempi- un personaggio quantomai comico ma allo stesso tempo profondamente drammatico, che esprime il suo meglio proprio nel momento in cui le due componenti sono così vicine.
Esemplare è la sequenza del Carnevale, in cui dopo una notte di festeggiamenti, Alberto si trova solo per le strade di una Rimini deserta a fare in conti con sé stesso e con la sua vita.
I Vitelloni – Il Carnevale
Un grande film, una grande commedia che, nonostante sia vecchia di 60 anni, sembra essere quanto mai attuale. Un dipinto a tinte forti dell’immobilità della provincia, in cui si cresce di fuori ma non di dentro, dove l’unica possibilità che rimane per sfuggire a un destino che sembra essere scritto è la fuga. Uno di loro lo farà e proprio alla sua voce è affidata la narrazione del film.
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