Venezia 2014: il successo della Biennale College Cinema

di La Redazione

Diversi sono stati i film che hanno avuto grande successo in seguito al progetto Biennale College Cinema, ovvero quel laboratorio di alta formazione aperto a giovani filmmaker per la produzione di film a microbudget.

Uno dei titoli più noti è “Memphis” di Tim Sutton, che racconta la storia di un bluesman alla ricerca di un significato spirituale e più profondo della propria vita, il quale è stato prodotto con 150.000 euro e venduto in circa 30 Paesi, in alcuni casi anche per la distribuzione nelle sale.

Altro lavoro venuto fuori dalla Biennale College è “Mary is happy, Mary is happy” del thailandese Nawpol Thamrongrattanarit. Il racconto della vita di una studentessa di Bangkok basato sui suoi tweet. Il film è stato un grande successo in Thailandia e la giovane attrice Patcha Poonpiriya, alla sua prima prova d’attrice, ha ottenuto molti premi nel suo Paese.

“È andato oltre le mie più rosee aspettative”, è stato il commento di Alberto Barbera, il quale collabora con Savina Neirotti del Torino Film Lab, per portare avanti questo progetto della Biennale College, unico nel suo genere, in quanto non solo viene prodotto il film, ma lo si segue in tutte le sue fasi, dalla prima all’ultima. I mentori della Biennale College lavorano a stretto contatto con il team di registi, produttori, offrendo la loro esperienza anche in materia di sviluppo di uno script, piani di produzione e così via.

L’idea di Barbera è che Venezia non sia semplicemente un Festival di vetrina per film importanti già belli pronti, ma anche un’occasione e un aiuto per le esigenze dei più giovani:

Il successo dei film, l’interesse da parte di produttori indipendenti di tutto il mondo ci dicono due cose: una è che abbiamo avuto una buona intuizione, l’altra è che c’è un enorme spazio vuoto per chiunque voglia fare qualcosa di simile. Non vogliamo l’esclusiva.

I futuri film che vedremo uscir fuori dal laboratorio veneziano sono “H” del duo statunitense Daniel Garcia e Rania Attieh, “Blood Cells” dei britannici Joseph Bull e Luke Seomore e “Short Skin” dell’italiano Duccio Chiarini.

 

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