Mi rifaccio vivo, l’espressione della rubinianità

di La Redazione

Dopo una lunga attesa arriva stasera sugli schermi il nuovo film di Sergio Rubini.

Nei panni sia del regista che dell’interprete, Rubini, in Mi rifaccio vivo, ci racconta una storia, come lui stesso ha detto, di pacificazione, con sé stessi e con gli altri, ma lo fa in modo leggero, nei toni della commedia, genere che gli è molto caro e che qui trova la sua espressione più pura nella carriera dell’attore-regista pugliese.

Sergio Rubini si è rifatto vivo e lo dice già da subito, nel titolo. Un ritorno nel quale il regista sguazza: si ricava la sua parte nel film, piccola, ma pur sempre una parte, e basta questo a mettere in luce la disparità tra lui e tutti i componenti del cast, tra i quali figurano anche nomi altisonanti come quello di Neri Marcorè.

Ma, a ben guardare, non è mica loro la colpa se, di fronte al piglio teatrale di Rubini e alla sua espressività congenita, fanno tutti una figura vagamente barbina: Rubini è anche sceneggiatore ed è certo stato consapevole fin dall’inizio di ciò che avrebbero dovuto fare i suoi attori.

Ed è questo quello che colpisce di questa commedia dai toni volutamente eccessivi e grotteschi. Tutto è avvolto in un atmosfera surreale, quasi da fiaba, i personaggi sono caricati fino all’eccesso e non manca un pizzico, neanche troppo di cattiveria, che accompagna lo spettatore verso il lieto fine della commedia.

L’eccessività di Mi rifaccio vivo sarà, molto probabilmente, anche il campo nel quale si scontreranno ammiratori e detrattori di questa pellicola. Da un lato coloro che hanno visto nell’eccessività uno strumento narrativo utilizzato per portare sullo schermo un argomento inusuale in modo originale, dall’altro coloro che, invece, vi vedranno una sorta di svista del regista o di una poca maestria nel dosaggio degli ingredienti.

In sostanza, Mi rifaccio vivo è una bella commedia, anche se qualche pecca di sceneggiatura c’è ed è anche evidente, divertente e intelligente, il suo limite, forse, sta nell’essere rubiniana tout court e, quindi, poco comprensibile da chi è fuori da questa ottica.

 

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