Un Paese quasi perfetto, la storia di un remake ben riuscito

di La Redazione

Siamo a Pietramezzana. In un piccolo paesino sperduto, locato tra le Dolomiti della Basilicata. E’ un “Paese quasi perfetto”, come indica il titolo del film, ma rischia di scomparire.

Il motivo? Viene abbandonato dai giovani, che emigrano come nella più classica delle tradizioni in cerca di amore e fortuna. I suoi abitanti sono pochissimi. Quelli rimasti quasi si contano sulle dita di una mano. Per lo più sono ex minatori in cassa integrazione. Una cassa integrazione che rischia di trasformarsi in una minaccia di disoccupazione permanente.

Così, è necessario fare qualcosa. Qualcosa di memorabile. A trascinare questo gruppo di lavoratori affamati c’è Domenico, interpretato dal sempre brillante Silvio Orlando. Gli abitanti di Pietramezzana non demordono, intravedendo una speranza nell’apertura di una nuova fabbrica che potrebbe costituire la soluzione a tutti i loro problemi. Così, si attivano per individuare la soluzione e progettare con un lieto fine.

Per prima cosa trovano un medico. E’ necessario. Hanno fortuna e si imbattono in un rampante chirurgo estetico milanese, i cui panni sono vestiti da Fabio Volo. Ma occorre convincerlo a restare a Pietramezzana, tra le dolomiti lucane, in un Paese sperduto che rischia di scomparire dalla mappa.

In sintesi, è questa la trama che vive dietro “Un Paese quasi perfetto”, film diretto da Massimo Gaudioso con Fabio Volo, Silvio Orlando, Miriam Leone e Carlo Buccirosso. La pellicola è un remake del canadese “La grande seduzione”, uscito nel 2003 per la regia del buon Jean – Francois Pouliot. Non è il primo remake. Nel 2013, infatti, Don McKellar decise già di rivisitarlo.

Ora, tocca a una produzione italiana. In scena va una favola sull’amicizia e sulla solidarietà, che restituisce dignità a lavoratori sfiduciati e voglia di cambiare le cose. Di mettersi in gioco, passando all’azione.

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